Esistono differenze tra progettazione sociale e progettazione culturale? Quale ruolo ha la cultura per l’innovazione sociale e la costruzione di comunità?
Se è vero che l’oggetto può cambiare, quello che accomuna ogni istanza progettuale è la ricerca di una cornice di senso. La progettazione risponde infatti al bisogno di intervenire e modificare il reale, secondo le esigenze del contesto di riferimento.
In questo senso la progettazione è pratica multidisciplinare perché mette in dialogo diverse visioni del mondo, contribuendo alla costruzione di identità a partire dallo scambio di conoscenze e competenze, sostenendo la produzione di senso e la consapevolezza “di sentirsi parte”. E proprio questa dimensione di capacitazione rende a sua volta possibile la trasformazione.
E’ così che l’operatore culturale diventa community maker, rispondendo ai bisogni e ponendosi in quella zona del margine che si apre alla dimensione collettiva. Perché le arti e la cultura hanno un enorme potenziale per sostenere il cambiamento, facilitare l’esperienza e aumentare la consapevolezza del singolo e della comunità.
Come ricorda Roberta Paltrinieri in un illuminante intervento a Scie Festival, “la cultura nutre le aspirazioni del collettivo”, quindi l’arte non ha solo una funzione estetica o sociale (intesa come riconoscimento dello status).
Se dunque la progettazione traduce il bisogno di trovare un’orizzonte di senso, di costruire futuro, di proiettare il sogno oltre l’ostacolo, dovremmo esercitare l’immaginazione e ripensare la realtà a partire da una narrazione plurale che tenga conto del “noi”.
Quindi la cultura non solo come oggetto della progettazione, ma anche come paradigma e motore del cambiamento a partire dalla capacità di proiezione tipica del pensiero creativo e delle espressioni artistiche.
Quali e quanti i mondi possibili?